Sentenza del 07 luglio 2022

Rigettando l’appello proposto dal Ministero della Difesa, il Consiglio di Stato, con la decisione depositata il 7 luglio 2022, n. 5664, accogliendo la tesi dei difensori del militare, avv.ti Giuseppe Chiaia Noya e Adriano Garofalo, ha chiarito che a seguito della modifica disposta dalla legge n. 183/2010, l’art. 33 non contempla più, tra i requisiti per la concessione del beneficio, quelli della continuità e dell’esclusività dell’assistenza, ma è improntato al principio del “referente unico” per ciascun disabile, e quindi al riconoscimento del permesso mensile retribuito a un solo lavoratore per l'assistenza del singolo disabile.

Ha anche chiarito che le esigenze organizzative della P.A. sono irrilevanti al riguardo, in quanto scrutinabili, ex lege, solo in relazione ai benefici di cui al comma 5 della stessa norma (assegnazione temporanea in sede vicina al luogo di residenza del portatore di handicap).

Il Consiglio di Stato ha affermato, quindi, che “Il riconoscimento dei permessi mensili ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non presuppone, quindi, l’assenza di altri familiari che potrebbero farsi carico della assistenza alla persona disabile, ma solo la circostanza che gli altri familiari non ne usufruiscano (Cons. Stato sez. II, 19 agosto 2019, n. 5732).

Quanto alla rilevanza delle ragioni di servizio ai fini del diniego del beneficio, questa Sezione ha di recente osservato che la disciplina del comma 3 dell’art. 33 l. 104, a differenza di quella del comma 5 del medesimo articolo, non prevede alcuna limitazione del beneficio dei permessi mensili in relazione alle esigenze organizzative dell’Amministrazione, configurandosi un diritto soggettivo di chi assiste il disabile alla fruizione dei permessi mensili, in presenza del solo presupposto dell’handicap grave e della situazione di coniugio, parentela o affinità entro il secondo grado o entro il terzo grado, quando i genitori o il coniuge siano ultrasessantacinquenni, affetti da patologie invalidanti o mancanti ...”.

Di seguito la sentenza:

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6007 del 2018, proposto da Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Chiaia Noya, Adriano Garofalo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Francesco Longo Bifano in Roma, via Ombrone, 12/C;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (sezione prima) n. -OMISSIS-/2018, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione dei benefici di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/92;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2022 il Cons. Carmelina Addesso e vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione presentata dalla parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

  1. Il Ministero della difesa chiede la riforma della sentenza del TAR Puglia, sede Bari, sezione prima, n. -OMISSIS-del 13 aprile 2018 che ha accolto il ricorso proposto dal Caporal Maggiore Scelto -OMISSIS- avverso il provvedimento di diniego di concessione dei benefici di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/92 per prestare assistenza al suocero gravemente
    • La motivazione del diniego, inizialmente fondata sulla presenza di altri familiari che avrebbero potuto prestare assistenza, veniva successivamente integrata, in esecuzione dell’ordinanza cautelare del TAR 549/2016, con la specificazione delle ragioni di servizio ritenute ostative alla concessione dei permessi.
    • Il TAR accoglieva il ricorso della signora -OMISSIS-rilevando che: i) la presenza di altri congiunti non rappresenta un fattore ostativo al beneficio;
  1. ii) l’amministrazione non aveva evidenziato specifiche esigenze organizzative ed operative, salvo un generico riferimento ad una ipotizzata dislocazione della ricorrente in future missioni militari all’estero, allo stato nemmeno programmate; iii) con riferimento alla posizione di aiutante in sanità, ricoperta dalla ricorrente, sussiste una situazione di pieno organico che mal si concilia con le eccepite necessità organizzative ed operative; iv) il diniego non può giustificarsi con riferimento all’impossibilità di adibire la ricorrente al lavoro notturno, non essendo il disabile a carico della stessa ai sensi dell’art. 53 d.lgs 151/2001.
  2. Con ricorso in appello notificato in data 6 luglio 2018 e depositato in data 24 luglio 2018 il Ministero della difesa ha chiesto la riforma della

sentenza, unitamente alla concessione di idonea misura cautelare.

  1. In data 25 luglio 2018 si è costituita la parte appellata -OMISSIS-che ha depositato memorie e documenti, insistendo per la reiezione dell’appello.
  2. Con ordinanza n. -OMISSIS- del 31 agosto 2018 la Quarta Sezione di questo Consiglio di Stato dava atto della rinuncia all’istanza cautelare da parte del Ministero
  3. All’udienza del 28 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in
  4. L’appello è
  5. Il Ministero appellante lamenta l’erroneità della sentenza sotto i seguenti profili: i) il TAR si è intromesso nelle scelte organizzative dell’amministrazione, sostituendosi ad essa nel giudicare come sufficienti per lo svolgimento del servizio le unità rimanenti nel reparto, senza tener conto che, anche se non sono programmate missioni fuori area, sussiste una fitta rete di attività addestrative al fine del mantenimento dell’operatività dell’Ente; ii) un altro dei sei graduati ricoprenti il medesimo incarico di aiutante in sanità risulta già beneficiario dei medesimi permessi, sicché sussistono solo quattro unità su sei di organico pienamente impiegabili; iii) l’art. 53, 3, d.lgs 151/2000, a mente del quale non è impiegabile in lavoro notturno il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile, si applica al lavoratore che presti assistenza effettiva al disabile; iv) la presenza in loco di altri familiari in grado di assistere il disabile rileva al fine del bilanciamento degli interessi, che ha visto quello dell’amministrazione prevalente rispetto a quello della ricorrente, la cui presenza nel reparto è indispensabile.
    • Le censure sono infondate.
    • L’art. 33, comma 3, legge 5 febbraio 1992 n. 104 riconosce il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito al lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste una persona con handicap in situazione di gravità che sia coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero

entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

  • La Corte costituzionale ha osservato che l'istituto del permesso mensile retribuito è in rapporto di stretta e diretta correlazione con le finalità perseguite dalla legge 104 del 1992, in particolare con quelle di tutela della salute psico-fisica della persona portatrice di handicap (Corte cost. sent. 23 settembre 2016 n. 213).
  • A seguito della modifica disposta dall’art. 24 l. 183/2010, l’articolo in esame non contempla più, tra i requisiti per la concessione del beneficio, quelli della continuità e dell’esclusività dell’assistenza, ma è improntato al principio del “referente unico” per ciascun disabile, ovvero del riconoscimento del permesso mensile retribuito a non più di un lavoratore dipendente per l'assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità.
  • Il riconoscimento dei permessi mensili ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge 104 del 1992 non presuppone, quindi, l’assenza di altri familiari che potrebbero farsi carico della assistenza alla persona disabile, ma solo la circostanza che gli altri familiari non ne usufruiscano (Cons. Stato sez. II, 19 agosto 2019, n. 5732).
  • Quanto alla rilevanza delle ragioni di servizio ai fini del diniego del beneficio, questa Sezione ha di recente osservato che la disciplina del comma 3 dell’art. 33 l. 104, a differenza di quella del comma 5 del medesimo articolo, non prevede alcuna limitazione del beneficio dei permessi mensili in relazione alle esigenze organizzative dell’Amministrazione, configurandosi un diritto soggettivo di chi assiste il disabile alla fruizione dei permessi mensili, in presenza del solo presupposto dell’handicap grave e della situazione di coniugio, parentela o

affinità entro il secondo grado o entro il terzo grado, quando i genitori o il coniuge siano ultrasessantacinquenni, affetti da patologie invalidanti o mancanti. (Cons. Stato, sez. II, 30 marzo 2022 n. 2341).

  • In ogni caso, anche a voler assegnare rilievo all’interesse della parte datoriale pubblica ad assicurare la corretta organizzazione ed il buon andamento del servizio (in questo senso, cfr. Cons. Stato, IV, 8 agosto 2019 n. 5635), nel caso di specie la motivazione del provvedimento risulta eccessivamente generica.
  • L’amministrazione appellante, infatti, invoca esigenze addestrative, ma non chiarisce le ragioni per cui siffatte esigenze sarebbero ex se inconciliabili con la concessione del beneficio, consistente in tre giorni di permesso al mese, anche alla luce dell’effettivo impiego della dipendente nelle ordinarie turnazioni di lavoro e del ripristino del pieno organico del personale a seguito della revoca dell’analogo beneficio a favore dell’altro graduato che ne ususfruiva (all. 9 e 11 deposito -OMISSIS-del 25 luglio 2018).
  • A quanto sopra osservato si aggiunge l’ulteriore considerazione che, pur essendo presenti altri congiunti, la richiedente è la più adatta a prestare assistenza al disabile per la sua specializzazione in materia sanitaria, operando professionalmente come aiutante in sanità.
  1. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere
  2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il Ministero appellante alla refusione a favore della parte appellata delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellata.

FATTO e DIRITTO:


1.- Con ricorso depositato come in rito, l’istante militare impugnava il provvedimento di diniego del riconoscimento dell’assegnazione provvisoria, ai sensi dell’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151. In fatto, il militare in questione, OMISSI, deduceva di esser coniugato e padre della piccola OMISSIS e di aver ricevuto grave pregiudizio dal rifiuto opposto dall’Amministrazione alla propria istanza di assegnazione ad una struttura più vicina alla residenza della famiglia. Con istanza del 21 aprile 2021 aveva infatti chiesto il riconoscimento del diritto, previsto dall’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, di essere assegnato, in via temporanea, ad una delle sedi tra OMISSIS, proprio per avvicinarsi alla località di OMISSIS, dove è presente il luogo di lavoro della moglie (consulente in materia di contabilità) e madre della comune figlia. In diritto, lamentava diversi profili di violazione di legge ed eccesso di potere, come di seguito meglio scrutinati, assumendo nella sostanza che il gravato provvedimento finale e gli atti istruttori connessi fossero gravemente ingiusti e lesivi della propria posizione giuridica.


2.- Si costituiva solo formalmente l’intimata Amministrazione militare, a mezzo dell’Avvocatura erariale, con la produzione di documenti, tra cui la “relazione illustrativa” del provvedimento gravato, e nulla specificamente contestando o argomentando.


3.- Alla fissata camera di consiglio per la disamina dell’istanza cautelare, sussistendone i requisiti, il ricorso veniva trattenuto per la decisione immeditata con sentenza in forma semplificata.


4.- Il ricorso è fondato. Con quattro distinti motivi, considerabili unitariamente per identità di ratio, veniva censurata l’errata applicazione dell’art. 45, comma 31-bis, d.lgs. 29 maggio 2017 n. 95 (come modificato dall’art. 40, comma 1, lett. q), d.lgs. 27 dicembre 2019 n. 172), la violazione dell’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, nonché l’eccesso di potere per illogicità e falsità dei presupposti, lo sviamento di potere, la contraddittorietà e inadeguatezza della motivazione, la carenza istruttoria e l’irragionevolezza, indi la violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, l’ingiustizia sta, infine lmanifea violazione dell’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con la legge 27 maggio 1991 n. 176, in ultimo finanche per vizio procedurale. In primis, va rilevato che l’Amministrazione ha erroneamente negato la provvisoria assegnazione del militare istante, genitore di una figlia minore di tre anni, richiamando nella motivazione la necessità di applicare il disposto dell’art. 45, comma 31-bis, d.lgs. 29 maggio 2017 n. 95 (come modificato dall’art. 40, comma 1, lett. q), d.lgs. 27 dicembre 2019 n. 172), che expressis verbis riguarda invece esclusivamente le “Forze di polizia”. La sopra richiamata disposizione normativa prevede che: “Al fine di assicurare la piena funzionalità delle amministrazioni di cui al presente decreto legislativo”, ossia le “Forze di polizia”, le disposizioni di cui all'art. 42-bis citato “si applicano esclusivamente in caso di istanza di assegnazione presso uffici della stessa Forza di polizia di appartenenza del richiedente, ovvero, per gli appartenenti all'Amministrazione della difesa, presso uffici della medesima. Il diniego è consentito per motivate esigenze organiche o di servizio”. Il dato testuale è chiaro. La limitazione de qua introdotta inerisce le “Forze di polizia”, non già le “Forze armate”, dunque non riguarda i militari dell’Esercito italiano (Cons. St., sez. IV, 7 gennaio 2021 n. 196; T.A.R. Lombardia, sez. IV, 15 aprile 2021 n. 937). Il richiamo motivazionale a tale disciplina è indi pretestuoso, viola la legge ed è viziato da evidente eccesso di potere per sviamento. In realtà, l’art. 42-bis (Assegnazione temporanea dei lavoratori dipendenti alle amministrazioni pubbliche) del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, è chiaro nella sua formulazione e nelle finalità di tutela. Le forme di tutela e di sostegno della maternità e della paternità contenute nel d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151 sono applicabili alla generalità dei dipendenti privati e delle pubbliche amministrazioni, anche di qualifica dirigenziale (ad es.: art. 23 C.C.N.L. del 9 marzo 2020, per l’area delle “funzioni centrali”, art. 24 C.C.N.L. del 17 dicembre 2020, per l’area delle “”funzioni locali”); talune disposizioni, come quella di cui all’art. 42-bis citato, sono però applicabili esclusivamente ai lavoratori delle pubbliche amministrazioni. Segnatamente, l’art. 42-bis del d.lgs. n. 151 cit. prevede che il genitore con figli minori fino a tre anni di età che sia dipendente di pubbliche amministrazioni, comprese le amministrazioni dello Stato (art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), anche ad ordinamento militare, seppur “tenendo conto del particolare stato rivestito” (art. 1493, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66), può essere assegnato a richiesta di parte (anche in modo frazionato) “per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, ciò. “subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione”. Viene in fine dell’articolo in analisi espressamente precisato che “L'eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali” e che “Il posto temporaneamente lasciato libero non si renderà disponibile ai fini di una nuova assunzione”. In tal modo, com’è stato ben chiarito in giurisprudenza (T.A.R. Emilia-Romagna, sez. Parma, sez. I, 24 settembre 2020 n. 165) la disposizione svolge la preminente funzione di tutelare l’interesse alla genitorialità ed il correlato interesse del minore a poterne beneficiare, le cui finalità si iscrivono nel solco delle generali previsioni costituzionali (artt. 30 e 31 Cost.) e sovranazionali di protezione (art. 24, comma 3, Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e art. 3 Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, adottata a New York nel 1989, ratificata con legge del 27 maggio 1991 n. 176). Non va pure trascurata la funzione di tutela della parità tra uomo e donna, affermata nella legislazione nazionale (d.lgs. 11 aprile 2006 n. 198) e avente parimenti rilievo costituzionale (artt. 3, 29 e 37 Cost.) e sovranazionale (art. 9, 21 e 23 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e artt. 5, comma 1, lett. b), e 16, comma 1, lett. d), Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York nel 1979, ratificata con la legge 14 marzo 1985 n. 132), nella dimensione in cui la presenza di entrambi i genitori, nelle iniziali fasi di vita del neonato e durante i primi tre anni d’età del bambino, consente loro, nel rispetto delle peculiarità proprie, di ripartirsi i compiti di cura dei figli nei primissimi anni di vita e quindi di meglio attenderne ai doveri genitoriali (art. 147 cod. civ.), onde assicurarne una crescita sana, senza “pesare” esclusivamente sul contributo affettivo e materiale della sola madre genitrice. Talché il sopra riportato art. 3 legge 27 maggio 1991 n. 176 ha imposto che “In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza […] dei tribunali, delle autorità amministrative […] l'interesse superiore del fanciullo” deve assumere “una considerazione preminente”. Difatti, l’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, considerata la peculiare rilevanza degli interessi in gioco, ha stabilito che, ferma restando il riscontro della sussistenza di un “posto vacante e disponibile di corrispondente posizione” (non già di identica posizione), il diniego dell’assegnazione provvisoria, per la generalità delle pubbliche amministrazioni, possa di norma ritenersi solo del tutto “eventuale” e che comunque esso debba “essere motivato” e ancor di più “limitato a casi o esigenze eccezionali”. Mentre, per le amministrazioni militari, l’art. 1493, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, recante il “Codice dell'ordinamento militare”, ha precisato che comunque debba considerarsi il “particolare stato rivestito” del militare richiedente. Infine, solo per le sole forze di polizia, l’art. 45, comma 31-bis, d.lgs. 29 maggio 2017 n. 95, recante “Disposizioni in materia di revisione dei ruoli delle Forze di polizia”, ha invece consentito il motivato diniego “per motivate esigenze organiche o di servizio”. Orbene, nel caso di specie, nel denegare l’accoglimento dell’istanza di assegnazione temporanea per la cura di minore inferiore ai tre anni d’età, l’amministrazione resistente, da un lato, ha erroneamente richiamato una disposizione valida solo per le forze di polizia; dall’altro lato, non ha affatto indicato nel provvedimento sfavorevole alcuno dei “casi o esigenze eccezionali”, in rapporto al “particolare stato rivestito” dal militare, che discrezionalmente possano esser ritenuti se del caso validi a superare la preminente considerazione della tutela del fanciullo, stabilita dall’art. 3, comma 1, legge 27 maggio 1991 n. 176. Infatti, il provvedimento gravato – come rilevato dal ricorrente – in modo perplesso e contraddittorio, per un verso, ammette che è data per soddisfatta la prima condizione della disponibilità di “posto vacante e disponibile”; per altro verso, però ritiene che nelle sedi ambite, peraltro indicate in modo alternativo dall’istante, non v’è ne sia alcuno occupabile, in quel che viene riportato (erroneamente) come specifico “incarico” di “fuciliere” (probabilmente riadattando un già predisposto schema di atto). In verità, quello di “fuciliere” non costituisce affatto un incarico particolare, né indica una peculiare qualificazione infungibile del militare, essendo né più né meno che l’indicazione nell’Esercito italiano della comune qualità generica del soldato di fanteria armato di fucile, ossia fornito dell’armamento di base. In ogni caso, va ritenuto che una tal qualifica, non particolarmente specialistica, giammai possa precludere ex se l’applicazione dell’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151. A tal proposito, la giurisprudenza ha in consimili fattispecie (ad es.: trasferimento ai sensi dell’art. 33 legge 5 febbraio 1992 n. 104) richiesto che la motivazione la quale neghi il trasferimento, sulla base della considerazione della peculiare qualificazione del militare, debba riportare quali siano le effettive ostative esigenze organizzative dell’amministrazione. Queste ultime non possono dunque essere affermate in modo generico, ma debbono essere sempre supportate da un corredo di dati concreti, oggettivi e controllabili, che permettano di verificarne la ragionevolezza (ex multis, T.A.R. EmiliaRomagna, sez. I, 17 aprile 2014 n. 434). A fortiori, nell’ipotesi di applicazione dell’art. 42-bis d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, che qualifica come residuale il diniego opponibile (“eventuale dissenso”) e per di più quest’ultimo viene limitato a “casi o esigenze eccezionali”, la motivazione del diniego, seppur apprezzando il “particolare stato rivestito” dal militare (art. 1493, comma 1, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66), deve esser congrua e tale da dimostrare di riuscire a superare il tendenziale prevalente interesse del fanciullo (art. 3, comma 1, legge 27 maggio 1991 n. 176). In ultima analisi, non emerge dal gravato provvedimento quale sia l’elemento ostativo, che impedisce peraltro quel che è poi in fondo solo una “assegnazione provvisoria” del padre lavoratore al luogo più vicino di residenza della famiglia, essendo il ricorrente un semplice “fuciliere” (ossia un soldato di fanteria armato di fucile), privo – stando alla disamina del provvedimento sfavorevole – di altra più particolare qualificazione o di elevata specializzazione, che lo rendano indispensabile nella sede di servizio di appartenenza.


6.- In conclusione, per le sopraesposte motivazioni, il ricorso va accolto, con indi annullamento del provvedimento e degli atti connessi così come impugnati, non avendo l’Amministrazione dimostrato l’impiego essenziale del militare istante nella sede di appartenenza, tal da superare i sopra richiamati tendenziali prevalenti interessi di rilievo costituzionale e sovranazionale alla tutela della genitorialità e dei fanciulli.


7.- Le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Il contributo unificato va rifuso, in applicazione dell’art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (sezioni unite), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il gravato provvedimento di diniego e atti connessi. Condanna l’Amministrazione della difesa al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate in €. 1.500,00, oltre accessori di legge. C.U. rifuso. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente. Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 8 settembre 2021 con l'intervento dei magistrati: OMISSIS

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